ALCOLISMO: TRE STORIE DI SUCCESSO DI CHI HA SCONFITTO LA DIPENDENZA DA ALCOL
Alessio, Elena, Floriano. Hanno deciso di condividere il loro percorso di caduta e rinascita per dire al mondo che guarire dall’alcolismo si può.
ALESSIO, UNA NUOVA VITA A 48 ANNI
La storia di un uomo che si era perso ma che ha avuto la forza di riprendere in mano la sua vita, la sua famiglia e la sua dignità.
L'INIZIO
Tutto era cominciato al baretto del quartiere, con la compagnia di quando era ragazzo. Lì, Alessio e gli amici passavano le loro serate ubriacandosi e facendo danni. Dopo il diploma da perito aveva cominciato a lavorare con un altro della compagnia, Riccardo, con il quale aveva aperto una piccola azienda di software che andava abbastanza bene. I soldi non mancavano, e lui si sentiva un leader.
Andarono avanti così per anni, facendo una vita più o meno normale durante la settimana e ammazzandosi di alcol nel weekend. Mentre l’azienda cresceva, Alessio si sposò e divenne padre di due figli: Marco e Simone. Durante una delle loro serate devasto, il suo amico nonché socio si schiantò in macchina: morto sul colpo, ma questo non bastò a convincere Alessio che era arrivata l’ora di dare un taglio al bere. Probabilmente non voleva accorgersi che la situazione era ormai quasi degenerata. Nel 2008, un po’ per colpa della crisi, un po’ per la morte di Riccardo, e un po’ per i debiti che quest’ultimo aveva lasciato, la ditta fallì e fu costretta a chiudere i battenti. Prima di arrivare alla chiusura Alessio fece il diavolo a quattro per salvarla. Si buttò a capofitto nel lavoro, a casa c’era sempre meno e, quando c’era, era intrattabile, non dormiva praticamente mai. La situazione precipitava.
ALESSIO TOCCA IL FONDO
La moglie cominciò a perdere la pazienza per gli atteggiamenti strani di Alessio: era chiuso, arrabbiato, si innervosiva per un nonnulla. I figli erano diventati invisibili. La famiglia credeva che per l’uomo esistesse solo il lavoro, ma la verità era un’altra. Il bere era diventato una gabbia da cui non riusciva a liberarsi, ma nessuno lo sapeva. Alla fine del 2011, dopo la chiusura definitiva dell’azienda, Alessio sprofondò nel buio più totale. Sembrava ormai un altro, a volte non ce la faceva nemmeno ad alzarsi dal letto, si dimenticava le cose, anche quelle importanti, come il compleanno del figlio Marco. Se ne stava sul divano attaccato alla bottiglia fino a perdere i sensi. Moglie e figli si trasferirono dai nonni. Alessio era lacerato: da un lato sperava di morire, dall’altro lottava disperatamente per trovare un appiglio a cui aggrapparsi per tornare a respirare. Oltre all’alcol sembrava non esserci altro: era come essere in catene. Una sera prese la macchina e sparì. Lo trovarono i carabinieri stravolto a bordo strada. Aveva vagato per una notte e un giorno senza una meta, fermandosi solo dopo aver evitato un frontale sul viale alberato che portava verso la sua ex ditta, quella che nei suoi sogni doveva rappresentare il futuro e che invece era diventata la causa di tutti i suoi mali. Era ubriaco.
UN SEGRETO INSOPPORTABILE
Fu allora che Alessio decise di chiedere aiuto, consapevole di aver rischiato seriamente di morire. A tutti disse che voleva curare la sua depressione per rimettersi in piedi e ritrovare la forza di aprire una nuova attività o comunque riprendere a lavorare. Disse che era la sua testa quella da rimettere a posto e che gli sarebbero bastati un po’ di psicofarmaci. Ma non era la verità, Alessio nascondeva un terribile segreto. Andò dallo psichiatra: prima uno, poi l’altro, ma mollava subito le terapie oppure non si presentava agli appuntamenti. Diceva che tanto le medicine che gli davano non servivano a niente e che, anzi, lo facevano stare peggio. Dallo psicologo non ci voleva andare e nemmeno da altri professionisti. In realtà continuava ad annaspare nel suo inferno. Fu il figlio Marco ad avere la folgorazione, dopo averlo trovato addormentato sul divano, circondato da bottiglie vuote: Alessio era ormai un alcolizzato. La moglie chiese la separazione e lui si ritrovò così con le spalle al muro. A muso duro Marco lo mise di fronte ad un aut aut:
“Hai già perso la mamma, ora scegli: se non ti curi perdi anche noi figli. O continui a sbronzarti o cominci a fare il padre, le due cose non sono compatibili”.
L’uomo rimase pietrificato, poi scoppiò a piangere e decise di liberarsi di quel peso ormai insostenibile: non solo era un alcolizzato, ma da anni assumeva anche cocaina. Insomma, senza troppi giri di parole era un tossico. Prendeva la coca da quando era un ragazzo, i soldi erano finiti lì oltre che nel vino, nelle birre e nei superalcolici. Ecco perché continuava a parlare di depressione ma in realtà non si faceva visitare da nessuno, se non da quel paio di psichiatri che però aveva mollato subito dopo la prima seduta. Dell’alcol non aveva fatto cenno nemmeno con loro.
LA RINASCITA
Un mese dopo, accompagnato da tutta la famiglia, Alessio entrò al SerT, in un’unità di alcologia. Un mese dopo ne uscì rinato, e tre mesi dopo finalmente sobrio! Ad un anno da quel giorno memorabile, Alessio non ha più toccato un goccio. A 48 anni ha recuperato il rapporto con i suoi figli e ha ricominciato a lavorare, fa riparazioni di pc, certo non è proprio quello che avrebbe sognato di fare nella vita ma è comunque un nuovo inizio. È presto per parlare di guarigione, ma sicuramente il percorso è quello giusto. Col senno di poi ha ammesso che non mentire a se stesso e agli altri, e rivolgersi subito a qualcuno di specializzato in alcol e dipendenze, sarebbe stata la cosa migliore da fare. Magari non ci sarebbe nemmeno stato bisogno del ricovero. Comunque è andata bene così: la struttura è stata la sua ancora, è stato trattato con una professionalità e delicatezza che lo hanno molto colpito. In questo percorso è stato aiutato da un farmaco e questo, insieme alla sua forza di volontà e al lavoro di chi l’ha seguito, gli ha salvato la vita.
ELENA, ACCETTARE L’AIUTO PER SALVARSI
La storia di una donna che aveva grandi sogni e una falsa amica: la bottiglia, ma che grazie alle amiche “vere” e alla famiglia ha trovato la forza per risorgere.
L'INIZIO
Era il 2011 quando tutto cambiò: le chiamano coincidenze, ma non lo sono mai. Elena aveva una bella vita: giornate di lavoro intense, cene con le amiche, qualche viaggio. All’epoca lavorava in una grande azienda che le dava parecchie soddisfazioni: aveva “fatto carriera” nel suo campo e coordinava un team di professionisti in gamba e diligenti con cui si era instaurato un bellissimo rapporto anche di amicizia. Nonostante questo attendeva di realizzare quello che da sempre era il suo sogno: andare a lavorare nella sede aziendale in Giappone. Vivere all’estero era stato il suo chiodo fisso da sempre. Alla fine, però, era stata la sorella Marcella la prima ad emigrare, seguendo il lavoro di suo marito in Sud Africa. Tornando al 2011, era un giorno particolarmente caldo di novembre quando il suo capo la chiamò nel suo ufficio per comunicarle che se lo avesse voluto, il mese successivo finalmente sarebbe stata trasferita a Tokyo! Elena informò solo le sue quattro migliori amiche, per scaramanzia, e loro la portarono a fare un aperitivo nell’ennesimo nuovo locale alla moda, finendo poi la nottata a casa sua con un paio di buone bottiglie di vino e tante chiacchiere. Alcuni giorni dopo, mentre si preparava per uscire, Elena vide la chiamata di sua madre. Rispose in modo distratto, incitandola ad essere breve perché era in ritardo. “Elena sono arrivati gli esiti di quegli esami. Pare proprio che io abbia il cancro.”
Si trattava di un tumore al polmone che necessitava di una lunga terapia prima di poter scoprire se era operabile. Fu quello il momento in cui una piccola parte di lei si spezzò, sapeva cosa doveva fare. Il giorno dopo parlò con il suo capo che la rincuorò: se non se la sentiva di partire in quel momento non doveva preoccuparsi, la posizione sarebbe tornata sicuramente vacante in futuro. Quella sera, uscita dall’ufficio, Elena si sentiva annientata, incapace di parlare con nessuno. Si chiuse in casa e svuotò da sola il frigorifero e la dispensa da ogni goccia di alcol. Si propose di non bere mai più così tanto, ma purtroppo non fu esattamente così…
UNA DOPPIA VITA
La routine di Elena lentamente divenne molto diversa da quella di prima: alle cinque usciva dall’ufficio e andava a prendere la mamma, la portava all’ospedale e poi la riportava a casa. Dopo aver salutato sua madre rientrava a casa con le mani tremanti strette sul volante, apriva la porta di corsa e si fiondava in cucina a bere un po’. Per calmarsi e annebbiare i pensieri.
Le cose andarono avanti così per un po’, finché una sera, dopo aver cenato con la madre, rincasò e si accorse di aver finito il vino. Cercò un supermercato, ma ormai erano tutti chiusi. La scelta più logica sarebbe stata quella di tornare a casa e farne a meno, invece entrò in un bar davvero pessimo, in cui sapeva di non incontrare nessuno di sua conoscenza, e iniziò a bere vodka. Il giorno dopo Elena si svegliò a casa di un uomo alto e moro, che non conosceva, totalmente ignara di chi fosse e di cosa stesse a fare lì. Si rivestì alla velocità della luce e tornò a casa, sentendosi sporca. Decise di non andare in ufficio, si fece una doccia e passò la giornata con l’unico “amico” in grado di farla sentire meglio: l’alcol. Arrivata l’ora di andare a prendere la madre mangiò quattro caramelle alla liquirizia e si mise al volante. Era diventata molto brava a nascondere tutto: dopo quella volta non mancò più a un solo giorno di lavoro ed era con tutti quella di sempre, o almeno così pensava.
ELENA, SE CONTINUI COSI' MORIRAI
Mentre la madre continuava le sue terapie, per Elena proseguivano i pomeriggi passati all’ospedale. Fortunatamente, però, le cure sembravano funzionare e il tumore era sufficientemente regredito da poter essere operato. Più la mamma stava meglio e più si sentiva sollevata, ma non per questo meno intrappolata in quello che era diventato il suo unico interesse: si alzava addirittura alle cinque della mattina per poter bere appena sveglia e riuscire a riprendersi in tempo, prima di arrivare al lavoro. Arrivò infine il giorno dell’operazione. Elena si stordì con l’alcol per tenere a bada la paura. Aspettava nella sala d’attesa di quel luogo che ormai era diventata la sua seconda casa quando il dottore venne a parlarle: “Dovremo fare ulteriori accertamenti, ma il tumore è stato rimosso con successo. Sua madre può considerarsi fuori pericolo, è una donna molto fortunata!” Elena chiamò subito la sorella, ma fu breve: aveva grandi piani per la serata. Il mattino seguente la madre la ritrovò in una pozza del suo stesso sangue. La casa era così piena di bottiglie che tutti pensarono avesse avuto degli ospiti, ma non era vero. Si era così tanto imbottita di alcol da cadere da sola dal soppalco, fratturandosi entrambe le gambe ed un polso. Dopo la caduta era rimasta sei ore in stato di semi incoscienza, durante le quali aveva pensato alle amiche, alla vita felice che faceva prima, al lavoro che amava tanto, a sua madre. Era relativamente sicura che quella notte sarebbe stata la fine, così disse a se stessa: “Elena se continui così morirai, e tutti sapranno che sei morta per l’alcol”.
Invece se la cavò, dopo qualche giorno in ospedale venne dimessa con gessi e tutori ovunque. Decise di andare dallo psichiatra, da sola, con un taxi e non poche difficoltà motorie. La dottoressa era sicuramente competente, ma Elena non riusciva ad aprirsi. Le prescrisse degli antidepressivi, che però la facevano sentire quasi peggio di prima. Trascorreva le giornate sdraiata sul letto mentre svaligiava il mini frigo che aveva messo in camera, sempre pieno di vino e birra ordinati online. Voleva solo starsene al buio, da sola, ma in compagnia dell’alcol. Quando beveva non rispondeva nemmeno più al telefono e fu infatti un piccolo miracolo quando un pomeriggio di marzo rispose alla telefonata della sorella.
LA RINASCITA A 50 ANNI
Marcella voleva sapere come stesse la sorella, ma non era loquace come sempre. Le disse che era arrivato il momento di andare in cura: “Elena, se non ti fai aiutare, se non la smetti di bere, puoi anche scordarti di avere ancora una sorella. Mi hai capito?” Elena le attaccò il telefono in faccia, ma qualcosa, in lei, si smosse. Dopo quella chiamata iniziò a smettere con l’alcol. Il 10 agosto 2013 era il giorno del suo cinquantesimo compleanno e sarebbe dovuta uscire a festeggiare con le amiche. Per fare colpo su di loro non avrebbe toccato nemmeno una goccia d’alcol, però prima di andare, volle concedersi almeno una birra.
Entrò in un bar e quando ne uscii ne aveva bevute dieci. Era ormai notte fonda e mille chiamate senza risposta sul cellulare. Appena uscita dal locale, Elena vomitò in un cestino e barcollando rientrò a casa in qualche modo. Ma aperta la porta d’ingresso trovò tutte le sue amiche più strette, alcuni membri del suo staff e sua madre. Erano lì per salvarla. Ciascuna amica, a turno, le parlò col cuore. Elena sentiva le lacrime pungerle gli occhi mentre loro descrivevano la persona che era e che adesso non era più. Si sentivo sporca e maleodorante, però, era anche sollevata: quella battaglia contro se stessa era finita. Ora poteva farsi aiutare. Qualche giorno dopo entrò al SerT, su consiglio del medico di sua madre, dove le venne prescritta una terapia mirata a base di farmaci e psicoterapia. Ci rimase per un mese e piano piano risalì dalla voragine in cui era sprofondata poco a poco. Grazie ai medici e a chi le è stato vicino ora Elena sta bene, continua con la terapia farmacologica e con quella individuale e di gruppo, ma da due anni non tocca alcol. Ha capito di essere guarita quando sua madre, sorridendole, le ha detto: “Questi sono i tuoi occhi, finalmente li riconosco!”
FLORIANO, SOLO IN COMPAGNIA DELL’ALCOL
La storia di un uomo che cercava nell’alcol il sollievo da un grande dolore, ma che grazie all’amore per i figli e alla forza di volontà è riuscito a smettere.
UN DOLORE TROPPO FORTE
Floriano lavorava in un grande ospedale di Milano come infermiere, e aveva una famiglia splendida: la giovane moglie Anna, e tre figli in salute. Ma il 13 marzo del 2000 tutto cambiò. Anna odiava le auto e prendeva la sua bicicletta per spostarsi. Quella mattina presto stava attraversando la strada per andare da sua madre, quando un taxista la travolse senza lasciarle alcuna speranza. Il giorno del funerale pioveva, Floriano accostò l’ombrello alla bara e fece una promessa silenziosa alla moglie: avrebbe cresciuto i loro figli in gamba e felici, come sempre era stata lei. Un mese dopo il funerale, però, Floriano iniziò a bere. Mentre i ragazzi andavano agli allenamenti di calcio e pallavolo tre volte a settimana, l’uomo trascorreva le serate in compagnia di almeno due bicchieri di liquore, intervallati da una bottiglia intera di vino. Era un modo per anestetizzare il dolore. A lavoro o in famiglia nessuno se ne accorgeva perché di giorno beveva come sempre: un solo bicchiere di vino a pranzo e magari un liquore per le occasioni speciali. Finché ha lavorato, Floriano non ha mai avuto nessun problema legato all’alcol, né in ospedale né fuori. Del resto, era concentrato sulla promessa di essere un buon genitore.
FLORIANO PERDE IL CONTROLLO
A 60 anni Floriano andò in pensione. Ci fu un grande festa, gli regalarono una targa, tutti sorridevano e anche lui si illudeva che sarebbe iniziato un periodo felice e spensierato della sua vita, invece si rivelò l’inizio della mia fine. Cominciò con un goccio di grappa al risveglio, uno più tardi prima di pranzo, e ovviamente uno dopo pranzo, e poi nel pomeriggio. Floriano beveva a tutte le ore senza rendersene conto. Per non farsi scoprire gettava via i vuoti prima che i ragazzi si svegliassero o tornassero per cena, o li nascondeva sul fondo dell’armadio, di fianco alle scarpe, dietro ai cappotti. Questa situazione andò avanti per diversi mesi, e nonostante i tanti bicchierini, Floriano portava la cena sempre in tavola ed era disponibile con i suoi ragazzi, proprio come prima. Poi iniziò a perdere lucidità: bruciò una pentola perché si era addormentato, cadde mentre si abbassava ad accarezzare il gatto della vicina… Dopo cena si chiudeva in camera, con la tv ad alto volume, di solito sintonizzata su qualche partita di calcio o un film d’azione. Una sera sentì una lite furiosa, ma non uscì. Ci provò, ma non riusciva a reggersi in piedi, inoltre puzzava così tanto di alcol a quel punto della serata che si ridistese sul letto e si addormentò con le urla dei figli nelle orecchie. Il mattino seguente ne aveva solo un vaghissimo ricordo. Qualche giorno dopo, rincasando con la spesa, trovò i figli schierati insieme alla sorella, al cognato e alla madre di Anna: “Floriano tu non stai bene, devi farti aiutare.” Le parole della sorella non furono facili da accettare per l’uomo, ma la cosa peggiore fu vedere la madre di Anna, rammaricata e desiderosa di aiutarlo. Non disse molto, ma fu sufficiente: “Floriano, Anna ti guarda, e non vede più l’uomo che ha sposato.”
Floriano disse solo una parola: “Perdonatemi”.
SULL'ORLO DELL'ABISSO
Dopo quella riunione di famiglia Floriano realizzò finalmente che il bere era diventato un problema sia per la salute, sia per il rapporto con le persone che amava. Continuava però a rimandare al giorno seguente la decisione di fare qualcosa e intanto si autoconvinceva che ce l’avrebbe fatta da solo. Passò due giorni senza bere, poi decise di concedersi un bicchiere dopo pranzo come “premio”. Fece fuori tre Pinot. Il figlio Roberto faceva sparire tutte le bottiglie che trovava in casa, e così un giorno Floriano scattò contro di lui: voleva bere e lui gli era d’intralcio. Tirò un cazzotto a suo figlio, ma per fortuna colpì la porta. Non aveva mai alzato un dito sui figli nei precedenti venti anni. Non si riconosceva più…
Dopo quell’episodio si decise a prendere un appuntamento con il medico di base, ma non ebbe mai il coraggio di entrare. Iniziò a bere solo fuori casa, dove nessuno lo avrebbe giudicato. Diceva che andava dal dottore, ma in realtà passava le giornate a bere in un bar dall’altro capo della città. Per non usare la macchina prendeva l’autobus, si sedeva al solito tavolo e non si scollava da lì fino alle quattro del pomeriggio, poi usciva e si faceva passare la sbornia. Spendeva quasi tutta la pensione al bar, ma fortunatamente quella vita non durò molto. Un pomeriggio di luglio uscito dal bar dopo la giornata di bevuta, forse per il caldo, mentre cercava di prendere l’autobus Floriano cadde lungo disteso sul marciapiede. Qualcuno chiamò l’ambulanza e l’uomo venne portato all’ospedale per essere medicato, ma dovette subire il solito “discorsetto” sul bere. Il figlio Roberto andò a prenderlo, e quando uscirono in silenzio dall’ospedale e Floriano iniziò con la solita tiritera sul fatto che sarebbe stata l’ultima volta… fu colpito violentemente al volto. Alzando gli occhi con la mano ancora sulla guancia, capì che era stato suo figlio.
LA RINASCITA
Roberto afferrò il padre per il bavero della camicia e lo attaccò al muro del parcheggio. Nei suoi occhi c’erano rabbia e paura insieme: “Che stai facendo papà? Cosa ti è successo? Lo capisci che non puoi fare così? Che non puoi lasciarmi, non puoi abbandonarci anche tu! Cosa penserebbe la mamma di te? Devi reagire!” Floriano scoppiò a piangere e strinse il figlio tra le braccia con tutta la forza che aveva. In quel momento pensava di aver davvero perso tutto e per sempre. Roberto però, sembrava sereno e stringeva il padre con forza, convinto che ne sarebbe uscito a testa alta. Fu quello il momento in cui Floriano guardò il figlio negli occhi e fece l’altra promessa più importante della sua vita, seconda solo a quella fatta al funerale della moglie: promise a Roberto di fare tutto quello che era necessario per guarire, subito. Roberto lo guardò e sorrise: “Papà, so che puoi farcela”. Alle otto di mattina erano già al SertT. Era deciso: non avrebbe mai più deluso i figli, mai. I medici e il personale spiegarono a Floriano quale sarebbe stata la terapia e quale sarebbe stato il percorso da fare con loro. Lo fecero sentire una persona, non uno scarto umano come invece si vedeva ormai da mesi. Era a suo agio con loro, li vedeva attenti e comprensivi. Oggi sono tre anni che Floriano non tocca alcol, a tutti i compleanni, cene, lauree e anche al matrimonio di Roberto e ha sempre bevuto solo acqua a tavola. Può affermare di essere fiero di se stesso e dei suoi bellissimi figli, senza i quali non ce l’avrebbe mai fatta. E sa che anche Anna sarebbe fiera di lui!