Lockdown e ben-essere a scuola
Si sono conclusi due anni scolastici, 2019-2021, che resteranno nella storia come momenti inimmaginabili per la nostra società.
Due anni nei quali è venuta meno la dimensione sociale della nostra vita, considerata da pedagogisti, filosofi, psicologici, neuroscienziati, sociologi importante e determinante per il Ben-Essere delle nostre esistenze quotidiane.
Già Aristotele avevo sottolineato lo zoon politikon dell’essere umano e successivamente Rousseau aveva utilizzato la socialità come strumento essenziale della democrazia e della sovranità del popolo alla base della rivoluzione francese. Ma sono state le ricerche e le riflessioni dello psicologo Vygotsky a esaltare il compito educativo della socialità e il suo contributo per il processo di apprendimento. Accanto all’interazione sociale che contribuisce ad allargare gli orizzonti dal sé agli altri, alla cultura, ai sistemi simbolici culturali del tempo, l’apprendimento trova alleati e compagni nell’interazione interpersonale, che esalta il ruolo degli adulti e dei coetanei nei processi di acquisizione del sapere.
Queste testimonianze sull’importanza della socialità per il Ben-Essere portano molti studiosi e sociologi a interrogarsi sugli effetti per la popolazione e soprattutto per i minori in età scolare di un lockdown imprevisto, inimmaginabile e così lungo.
Un lockdown che è stato affrontato con strumenti di emergenza da parte degli operatori scolastici. Il nostro orario e la nostra vita scolastica non sono stati più scanditi dalla classica campanella, ma da calendar che ci ha introdotto in Meet o altre piattaforme per le videoconferenze, per le lezioni, per i nostri collegi o consigli di classe.
Indagini sull’impatto del lockdown nei minori
Moltissimi ricercatori e sociologi cominciano a monitorare esiti possibili di questo prolungato lockdown sulla nostra salute prima e sulle nostre performance poi, e soprattutto come alcune fasce più deboli abbiano sofferto in questa situazione particolare.
I ragazzi diversamente abili, i ragazzi con disturbi specifici di apprendimento, i ragazzi con bisogni educativi speciali e le bambine e i bambini tutti della scuola dell’infanzia e dei nidi hanno trascorso un terzo o un quinto della loro vita in situazione d’isolamento esistenziale e con approcci multimediali con i proprio coetanei o con i propri nonni e parenti.
Giustamente nel secondo lockdown (a.sc. 20-21) si è deciso ragionevolmente di permettere a questi ragazzi una didattica in presenza con i loro docenti e possibilmente in compagnia di altri coetanei e la creatività dei Dirigenti e docenti ha realizzato, in alcuni casi, esperienze importanti di inclusione.
Un’indagine condotta dalla prof.ssa Barbara Letteri per la rivista Scuola Secondaria (1) sul grado di inclusione degli alunni con disabilità certificate ai sensi della Legge 104/1992 ha rilevato come questi abbiano avuto supporti individualizzati a cadenza giornaliera, come anche ai coetanei che presentano disturbi specifici di apprendimento e Bisogni Educativi Speciali non sono mancati accorgimenti mirati per una didattica su misura.
Sono stati utilizzati, infatti, strumenti compensativi che le TIC hanno consentito di predisporre, fornendo facilitatori dell’apprendimento non solo quindi per coloro che necessitano di percorsi differenziati (individualizzati o personalizzati), ma per tutti gli alunni che in DaD hanno manifestato un bisogno educativo speciale.
Nonostante questi impegni e sforzi da parte della scuola, ancora più lodevoli perché si è lavorato in situazione di emergenza, i monitoraggi che molte associazioni e istituti di ricerca hanno reso noti ci fanno riflettere e possono aiutare a individuare le soluzioni adeguate per la ripartenza post-Covid. I primi risultati che giungono da alcune associazioni da sempre vicine alle tematiche dell’infanzia ci devono far preoccupare.
Il 15 aprile scorso, infatti, due importanti associazioni, Terre des Hommes e Cismai, che collaborano con l’Autorità Garante dell’infanzia e dell’adolescenza, hanno pubblicato la seconda indagine nazionale (2) sulla situazione dei maltrattamenti ai minori, che permette di cogliere quanto la situazione sanitaria emergenziale e le chiusure prolungate per il lockdown abbiano peggiorato la situazione esistenziale di molte famiglie, con ricadute pesanti sui minori.
Dall’indagine si coglie che 402 mila bambini attualmente sono in carico ai servizi sociali e di questi ben 77.493 sono stati vittime di maltrattamento in famiglia dal luglio del 2019 a marzo del 2020.
I maggiori maltrattamenti registrati riguardano: mancanza di cure, violenza o maltrattamento psicologico; maltrattamento fisico nel 9% dei casi e abuso sessuale per il 3%.
Risultati della seconda indagine nazionale
Dall’indagine si coglie che 402 mila bambini attualmente sono in carico ai servizi sociali e di questi ben 77.493 sono stati vittime di maltrattamento in famiglia dal luglio del 2019 a marzo del 2020. I maggiori maltrattamenti registrati riguardano: mancanza di cure, violenza o maltrattamento psicologico; maltrattamento fisico nel 9% dei casi e abuso sessuale per il 3%.
I lockdown hanno fatto peggiorare i dati e dal 1 aprile 2020 si è registrato un notevole innalzamento del numero dei maltrattamenti con un 73% in più rispetto allo stesso periodo del 2019, con il conseguente aumento delle vittime che hanno chiesto aiuto (59% in più rispetto all’anno precedente).
Le considerazioni delle due associazioni, che hanno registrato e pubblicato questi dati, riguardano l’effetto delle «chiusure scolastiche in corso e le restrizioni di movimento, poiché i lockdown hanno lasciato molti bambini bloccati in casa alla mercé di soggetti abusanti sempre più frustrati».
I neuroscienziati partendo da questi dati e da molte considerazioni sociologiche sottolineano la gravità delle nuove povertà educative che incidono pesantemente sulle nostre vite e che il lockdown mette completamente a nudo appesantendone la gravità.
Questi dati spingono i presidenti delle due associazioni a dichiarare come «l’infanzia deve tornare ad essere una priorità delle agende politiche per garantire diritti, protezione e cura a tutti i bambini, specialmente ai più fragili. Ne va del benessere, della cura e dei diritti dei nostri bambini e delle nostre bambine e quindi anche del futuro del nostro Paese».
Nuove povertà esistenziali che non devono essere intese come conseguenza di disagio economico come si credeva negli anni 60, ma come ci ha ammonito il premio Nobel per l’economia Amartya Kumar Sen «la disuguaglianza non consiste solo nella disparità di reddito, ma soprattutto nella disuguaglianza di opportunità, di possibilità di scelta, di libertà individuali».
Queste nuove povertà educative, che purtroppo interessano il 12% dei nostri ragazzi, secondo la neuroscienziata Daniela Lucangeli nascono dalla mancanza di relazioni, necessarie e indispensabili alla nostra specie che si nutre di socialità. È l’altro, la comunità, la scuola ad aiutare il nostro potenziale universale biologico a svilupparsi in modo equilibrato nella sua dimensione cognitiva, emotiva, comportamentale.
Il venire meno della nostra dimensione sociale ha portato talvolta i nostri adolescenti e studenti ad adottare comportamenti scriteriati e pericolosi registrati in questi mesi in molte città italiane, dove, nonostante il coprifuoco per l’emergenza sanitaria, tramite convocazioni social, si sono raccolti nelle piazze d’Italia non per incontrarsi, discutere, socializzare, ma per mettere in scena veri e propri pestaggi, scontri violenti, con relative riprese degli eventi da immortalare su Instagram.
E le piazze che, nell’antica Grecia, erano i luoghi della discussione e delle decisioni popolari, della democrazia, le agorà, sono diventate dei ring su cui scaricare odio, violenza.
Analoga origine hanno i fenomeni di cyberbullismo che imperversano nella rete e nelle vite dei giovani e adolescenti.
Anche l’Istituto Gaslini di Genova ha presentato a giugno 2020 i risultati di un’indagine, condotta dal neurologo Lino Nobili, direttore del dipartimento di Neuropsichiatria infantile, sull’impatto psicologico del lockdown nei minori. (3)
Al questionario, sottoposto in forma anonima tramite il sito web dell’istituto, hanno aderito 6800 soggetti da tutta Italia (in particolare dalle regioni del Nord e alta Toscana), di cui quasi la metà (3245) con figli minorenni a carico.
L’indagine svolta tra il 24 marzo e il 3 aprile del 2020, a quindici giorni di distanza dall’inizio del lockdown, ha messo in evidenza come i disturbi del sonno, gli attacchi d’ansia e l’aumento dell’irritabilità siano i sintomi più frequenti di cui hanno sofferto le bambine, i bambini e gli adolescenti nel nostro Paese durante l’isolamento a casa per l’emergenza coronavirus.
Dall’analisi delle risposte è emerso che la situazione d’isolamento ha determinato una condizione di stress con ripercussioni non solo sulla salute fisica ma anche su quella emozionale-psichica, sia dei genitori sia dei figli.
Bisogna, quindi, acquisire consapevolezza di quanto le misure assunte dal governo di chiusura e isolamento, che pure hanno messo in sicurezza la salute delle famiglie italiane, abbiano pesato su bambine, bambini e adolescenti. Sono loro, infatti, quelli che hanno pagato un prezzo particolarmente alto durante il lockdown.
Non poter andare a scuola, non poter vedere le proprie maestre e i propri compagni di classe, non poter correre e giocare in un parco con i propri amici li ha certamente penalizzati.
I dati emersi obbligano a ripensare le modalità per il ritorno alla quotidianità con l’intento di riconquistare la socialità perduta e fare in modo, come affermato dalla sottosegretaria di Stato alla Salute Sandra Zampa, nella conferenza stampa di presentazione dell’indagine «che alla fine di un’esperienza che ricorderanno per tutta la vita, si sentano più forti e sicuri, consapevoli che si può combattere e vincere anche una battaglia difficilissima come quella che abbiamo condiviso contro il coronavirus».
Importante e da condividere anche la dichiarazione del direttore generale del Gaslini Paolo Petralia che ha voluto stigmatizzare come «la ricerca è un ulteriore stimolo a recuperare al più presto, pur con le necessarie precauzioni, le opportunità di interazione diretta tra coetanei, strumento essenziale per lo sviluppo emotivo e l’acquisizione di competenze».
Il recupero soprattutto della socialità oltre che degli apprendimenti diventa la nuova mission della scuola e della società italiana. Le strategie messe a punto dal Ministero dell’Istruzione stanno prevedendo risorse e modalità per il prossimo quinquennio. Oltre al Piano Estate per salvare la generazione Covid, si punta molto sul Recovery Fund per cercare di arginare il problema della dispersione.
Patti educativi di comunità
«Per fare un uomo, necessita un villaggio» recita un saggio proverbio ugandese e noi, in Italia, nel definire la ripartenza post-Covid della nostra vita sociale, rilanciando la centralità della scuola, stiamo, forse, facendo tesoro della saggezza africana per individuare nei Patti educativi di comunità un nuovo modo di operare che veda un territorio e una comunità protagonisti della propria rinascita.
Siamo tutti d’accordo sulla necessità di fare di questo periodo di crisi un’opportunità di crescita, facendo proprio l’auspicio di Albert Einstein, «attraverso pericoli e sconvolgimenti le nazioni possono essere portate a ulteriori sviluppi. Possano gli attuali sconvolgimenti portare a un mondo migliore».
Con queste finalità il Piano scuola 2020-2021 individua nei Patti educativi di comunità (4,5) gli strumenti operativi che possano vedere Scuole, Enti Locali, Istituzioni pubbliche e private, le realtà operative nel terzo settore, le associazioni e anche i singoli cittadini operare sinergicamente, sottoscrivendo specifici accordi per creare l’alleanza educativa, civile e sociale, dando così attuazione a quei principi e valori costituzionali, per i quali tutte le componenti della Repubblica sono impegnate nell’assicurare la realizzazione dell’istruzione e dell’educazione.
I Patti educativi di comunità sono strumenti operativi introdotti recentemente dal Ministero dell’Istruzione per dare alle comunità la possibilità di un nuovo protagonismo per rafforzare non solo l’alleanza scuola famiglia, ma anche quella tra la scuola e la comunità educante.
Obiettivi principali di questi progetti sono la necessità di prevenire e combattere le nuove povertà educative, la dispersione scolastica, il fallimento educativo di un’alta percentuale dei giovani (14%), attraverso un approccio partecipativo, cooperativo e solidale di tutti gli attori in campo che con pari dignità si impegnano a valorizzare e mettere a sistema tutte le esperienze e tutte le risorse del territorio.
Cosa sono i Patti educativi di comunità
Sono strumenti operativi introdotti recentemente dal Ministero dell’Istruzione per dare alle comunità la possibilità di un nuovo protagonismo per rafforzare non solo l’alleanza scuola famiglia, ma anche quella tra la scuola e la comunità educante.
Service Learning
Per sviluppare il principio di appartenenza e di cittadinanza attiva, le collaborazioni previste nei Patti educativi di comunità sono volte, in attuazione del principio di sussidiarietà di cui all’art. 118 della Costituzione, alla promozione dell’interesse generale, mediante la tutela di beni comuni urbani, intesi come spazi e servizi di tutti, strettamente connessi a identità, cultura, tradizioni di un territorio e funzionali allo svolgimento della vita sociale delle comunità. Tale operatività è funzionale all’attivazione di processi di apprendimento che fanno capo al Service Learning, una proposta pedagogica innovativa, sperimentata in molte realtà, che unisce il Service (la cittadinanza, le azioni solidali e il volontariato per la comunità) e il Learning (l’acquisizione di competenze professionali, metodologiche, sociali e soprattutto didattiche), affinché gli allievi possano sviluppare le proprie conoscenze e competenze. Tali Patti prevedono il coinvolgimento, la partecipazione attiva e il protagonismo degli studenti contribuendo a migliorare la partecipazione degli stessi alla vita della comunità scolastica attraverso percorsi di consultazione.
Le collaborazioni inoltre, con gli operatori culturali, con gli artisti, con le radio e tv locali, con gli scrittori potrebbero far nascere esperienze progettuali laboratoriali per far acquisire le competenze di cittadinanza e partecipazione previste dal Decreto Legislativo 60 del 2017 sulla diffusione della cultura umanistica, capace di valorizzare il made in Italy, che ha reso così attraente il nostro Paese agli occhi dei cittadini nel mondo. I Patti di comunità stanno diventando significative esperienze formative in molte regioni italiane. Al 30 giugno 2019 erano circa 1000 e le regioni maggiormente interessate erano Emilia-Romagna, Lombardia, Toscana e Campania.
È auspicabile una maggiore e migliore diffusione di queste best practice e sarebbe opportuno che le istituzioni scolastiche e la società civile vogliano diffusamente ed intelligentemente adoperarsi per realizzare Patti di comunità con un alto profilo formativo ed educativo attraverso momenti di co-progettazione e di co-gestione delle attività in un rapporto di pari dignità e sotto la supervisione e regia delle scuole.
Autore: LUIGI MARTANO, Dirigente scolastico – Formatore – Pedagogista Amministratore di M.A.GI.C. EDUCATION TRAINING
Bibliografia
- Letteri B. Rivista Nuova Secondaria. Ottobre 2020, N° 2.
- Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza – CISMAI – Fondazione Terre des Hommes Italia. II indagine nazionale sul maltrattamento dei bambini e degli adolescenti in italia, 2021.
- Irccs Giannina Gaslini di Genova. Impatto psicologico e comportamentale sui bambini delle famiglie in Italia, 2020.
- Ministero dell’Istruzione. Linee programmatiche del Ministro dell’Istruzione. Audizione del Ministro Prof. Patrizio Bianchi Commissione VII Camera e Senato congiunte, 4 maggio 2021.
- Comitato Tecnico Scientifico del Ministero dell’Istruzione. Idee per il futuro.